una questione di genere o stile?

interpretare filosoficamente

Prendiamo per esempio il traffico. Il traffico a Roma è espressione dei processi stocastici dell’etica, o quantomeno dei costumi, di questa società capitolina, a cui di “società” le è rimasto solo il nome, o il “cadavere di se stessa”. Ma, dal momento che il tono di questo scritto si guarda bene dall’essere grillino e non è populista né emotivo, il traffico verrà analizzato nella sua variante di “rapporto di genere”.

Puttana.

Forse deriva dal francese, forse è il femminile di “putto”… c’è chi preferisce la sfumatura semantica di “mignotta”, più romanesca, della quale vanta questa ormai diffusa etimologia latina della mater ignota. In questo caso vi andrebbe legata la parola “figlio”, pertanto l’evoluzione semiologica apparirebbe tale: “figlio di madre ignota” -> “figlio di mignotta” -> “mignotta”. Quel poverello del figlio del resto che c’entrava?
Sempre dal latino è la versione per “mihi ignota”: ti pago ma non ho la più pallida idea di chi tu sia!
Coloro che preferiscono “mignotta” a puttana sono dunque dei fini filologi o almeno dei latinisti.

Il più breve e incisivo “troia” ha un’accezione particolarmente dispregiativa, che viene sottolineata in genere dal raddoppiamento della “r”, possibile perché si appoggia sulla lettera che la precede, la “t” (che, essendo un’esplosiva, a Roma è particolarmente amata), e sull’allungamento della “o” e la consonantizzazione della “i” in “j”: “Trroooja!”. In genere preceduto da “‘sta” (‘sta trroooja!) ed enfatizzato dalla classica gestualità romanesca della “mano a cucchiara” che serve per prendere bene la mira verso il bersaglio cui declamare la propria interpretazione della sua personalità.

“Zoccola” viene usato con lo stesso atteggiamento di troia. E ciò ha il suo fondamento antropologico nel fatto che la “troia” è la scrofa, la femmina del maiale, mentre la zoccola è la femmina del topo di fogna.
Chi preferisce dunque queste variazioni sul tema della prostituzione è un animalista o comunque uno zoofilo.

Ci sono poi varie altre sfumature semantiche e dialettali, ma comunque il senso è sempre lo stesso.

L’uso più blasonato di questo sostantivo, nell’eterna e romantica città di Roma, vegliata dal Vaticano, osservata da Garibaldi, dominata dall’Esquilino (sic!) e nata nella Suburra è nel traffico. Il traffico romano è espressione delle dinamiche (in)sociali di questa città, che nacque da uno stupro, si sostentò con l’omicidio di dio e vive sul compromesso tra Fascisti e Chiesa che operò il PCI.
Lerci Cinquantenni e spregevoli sessantenni urlano gli appellativi sopra ricordati alle donne che guidano, donne tra i venti e i quaranta anni, le donne più grandi apparirebbero dispensate. Gli appellativi che questi signori utilizzano in genere hanno il valore dispregiativo di indicare una vendita del proprio corpo, come strumento di piacere, in cambio di denaro.
La domanda a questo punto è: “perché?”. Cosa c’entra la prostituzione con il traffico?
La verità è che non c’entra assolutamente nulla. Ma la verità che qui proprio ci interessa è un’altra: la vigliacca semplicità con cui si può rivolgere a una donna un simile giudizio.

La donna è ridotta tutta alla sua sessualità. Il fatto che una donna non è una stronza, ma è sempre una mignotta indica che essa è soltanto un oggetto sessuale, così se si comporta bene meglio per lei, altrimenti è una “zoccola”, una di facili costumi, una che vende la sua dignità e il suo corpo.

Bisognerebbe poi vedere a chi li vende. Visto che se ciò accade ci saranno pure dei compratori.
Per capire la dinamica di genere nel traffico romano, ad ogni modo, basta immaginare la scena di un tassista cinquantenne che urla a una ragazza di trent’anni sul motorino che è una puttana, magari perché lei ha dovuto spostarsi verso sinistra, dovendo superare una macchina (magari proprio un taxi!) che si era arbitrariamente fermata per la strada. Magari il tassista non rispettava le distanze di sicurezza, magari lui non ha una figlia o una moglie.

Oppure ce le ha e le chiama puttane.

19 Novembre 2014
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