Una sottocultura?

interpretare politicamente

Le donne.
Una grande tematica da cui non se ne esce.
Che posto dare alle donne in una società maschile? E si badi: una società, finché rimarrà capitalista e legata a una religiosità che sfonda la coscienza trasportandola nel cielo (vedi dio denaro, che slega il valore dalla materia, o dio padre, che slega la legge dalla natura) rimarrà per sempre maschile.
A questo punto ci si spiega anche perché Freud vedesse piselli ovunque.
Tutto sommato aveva ragione.
Le donne in una società maschile (leggasi, se si preferisce, capitalista) non possono avere un vero ruolo. Perché? E’ presto detto.

Una società che si basa sullo sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano non è adatta a una donna che voglia mantenere la propria identità di genere. L’identità di genere è fondata nella coscienza del proprio ruolo di genere in una società.
Detto altrimenti, una donna ha l’utero, interiorizza, sente e, ahimé piange.
La competitività per il potere, così com’è impostata nella società del consumo e dello sfruttamento non le si addice affatto. Anzi, crea degli strani mostri frustrati, tipo la Tatcher o la Lombardi, costrette ad abdicare al loro lato più femminile per poter competere ad armi pari in una società maschile, prendendo il peggio del peggio di un uomo: la sterilità, la monodirezionalità e l’nvidia per il pene.
Oppure crea altri strani mostri, non meno frustrati, che il berlusconismo ci ha propinato per anni, e non è il caso qui di stare a ricordare qualcosa che si spera stia per finire. Almeno finché non avrà pianto tutte le sue lacrime davanti a palazzi di giustizia vari, per continuare ad avere un minimo di visibilità.

Le donne: una sottocultura. Ecco, cosa sono diventate.
Se sei donna, ormai sei entrata a far parte di una sottocultura. Non è che ci puoi fare niente. Ci nasci. E’ un brutto trip.
Allora, le donne sono invidiose, gelose e competitive. Ma soprattutto spietate con le altre donne. “Io con le donne proprio non mi prendo! ‘nfatti ho tutti amisci maschi!”
Ecco, ragazza mia, fattelo dire che non c’hai capito niente!
O meglio, non è che una così non c’ha capito niente, piuttosto, giustamente, è vittima di una dinamica per cui il suo riconoscimento di donna non avviene attraverso un’altra donna, ma le viene dato da un uomo.
Finché la società imporrà questo, le donne faranno così.
Le dinamiche sono davvero una brutta storia: non le controlli. Ben diversi sono i rapporti, quelli sì che li capisci, che li segui, che ci stai dentro e li vivi.
Ma con le dinamiche non ci si può fare molto.
Ecco perché le donne sono una sottocultura: vengono catalogate all’interno di dinamiche sociali, dalle quali apparentemente non possono uscire.
Da una dinamica si esce quando ne prendi coscienza. Ma a differenza di come ci ha insegnato la psicanalisi – che se davvero fosse stata tanto rivoluzionaria non avrebbero permesso agli psicologi parcelle tanto alte e soprattutto la loro diffusione negli Stati Uniti negli anni ’90 – ecco, a differenza di come ci ha insegnato la psicanalisi, la coscienza non sta dentro il singolo individuo nella sua interiorità.
La coscienza sta nella collettività. E la prima collettività, è vero, con buona pace all’anima di Sigmund, che qualche piccolo merito ce lo ha anche avuto, la prima collettività è quella del riconoscimento di genere.
Che è anche la prima forma di divisione del lavoro!
Incredibile!
Questa maledetta divisione del lavoro sta in mezzo a tutto.
Sì. Sta in mezzo a tutto.
La prima vera e indiscutibile divisione del lavoro è stata quella di genere! E’ una notizia sconvolgente, vero?
Quando un homo della preistoria, probabilmente Cromagnon (anche noto come Neanderthal, a seconda di dove lo si voglia scoperto per la prima volta), ha deciso che le scimmie col pisellino andavano a caccia, mentre quelle con la patatina raccoglievano le bacche, gli homines (plurale di homo – non facciamo come curriculum che è pure pluarale!) si sono inventati la divisione del lavoro. Cui è succeduta quella tra mente e mano, cavalcata e eternizzata dal cristianesimo (lasciate perdere i Greci, che avevano capito molto di più di quando stavate al liceo e studiando filosofia pensavate che erano degli emeriti coglioni).

La storia del capitalismo è, ad un tempo, la storia della divisione del lavoro. Quindi, gli sbrigativi interroganti dalle facili e veloci risposte, si chiederanno: “come se ne esce? Mica bisognerà abolire la distinzione di genere?”
Per carità! A questo ci ha già pensato il proto-femminismo. Senza considerare che il reggiseno in certi casi può anche essere utile.
No, non andrebbero abolite le differenze di genere.

La storia della divisione del lavoro è essa stessa la storia del capitalismo.

A questo punto aver studiato Socrate, tanto per sapere come funzionano i sillogismi, quando facevi il liceo, ora ti farebbe molto comodo. Ma, per fortuna, Socrate parlava agli essere umani, quindi è molto più comprensibile di quanto si penava da adolescenti, quindi il voto di quell’interrogazione, non esimerà nessuno dal comprendere che:
non è la differenza di genere che va abolita, ma piuttosto la divisione del lavoro che si fonda sul genere.
In questo modo si potrebbe addirittura evitare di considerare “Le Donne” come una sottocultura della nostra società.

12 Aprile 2013
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