Mordersi la coda. Che tu sia cane o serpente

interpretare filosoficamente

Ce l’hanno spiegata, insegnata, sviscerata, ce l’hanno fatta urlare nelle manifestazioni, nelle occupazioni, ce l’hanno fatta combattere, poi ce l’hanno spiegata di nuovo, ce l’hanno insegnata di nuovo, in modo più profondo, più analitico, più filosofico. Poi ce l’hanno fatta sperimentare, vivere ogni giorno più profondamente.

La dialettica del padrone e dello schiavo.

Ce l’hanno insegnata talmente bene da farci sentire prima dei deboli per emanciparci e poi diventare padroni. Ce l’hanno insegnata così bene da farci sentire schiavi-che-si-devono-emancipare che oggi bramiamo soltanto di fare i padroni. Il cui ruolo è quello di insegnare agli schiavi, prima ad essere schiavi e poi come si devono emancipare. Per diventare padroni.

Per rompere il circolo vizioso serve davvero solo eleganza, compostezza e superiorità intellettuale? Non è solo un modo per autoconvincersi che funziona il modello del dittatore illuminato?
Davvero sentirsi superiori rompe il circolo vizioso del padrone e dello schiavo?

Sentirsi debole dovrebbe essere un’esperienza bellissima, che sia in grado di dirti molte cose di te, ma soprattutto dell’essere umano per tirarne fuori dolcezza e capacità di comprensione universale. Non dovrebbe innescare la dialettica del nonnismo e della rivalsa su altri che non sono stati i tuoi despoti.
E questo viene innescato dal cattolicesimo, dal grillismo, dal capitalismo.

Sentire nel profondo più profondo la tua debolezza per riconoscere quella negli occhi di chi ti sta davanti, per non fargli abbassare mai lo sguardo e per non fargli provare mai cosa si prova, non perché glielo neghi ma perché speri che essere migliore è prima di tutti e poi anche tuo.

Non mordersi mai la coda. Né da cane, né da serpente.

22 Maggio 2014
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