Appunti per una catastrofe politica della metafisica occidentale

interpretare politicamente

Il percorso che ci ha portati fino al 15 ottobre è stato lungo e complicato. Un tempo sfilavamo sotto le bandiere rosse, cantavamo bella ciao e sapevamo chi erano i nostri nemici.

Poi non lo abbiamo più saputo.

Qualsiasi punto di riferimento ci è crollato sotto gli occhi e sotto i piedi. Lasciandoci soli, ognuno da solo, con un ideale che aveva senso solo se collettivo e condiviso.

Individualismo e passività hanno vinto. La libertà di scegliere è lo slogan di una teoria economica, che tra spettacoli pirotecnici stava sedando proprio la libertà e rendeva sempre più urgente la scelta. Rendeva sempre più urgenti i bisogni.

Gli ideali, quelli che hanno a che fare con l’essere umano, agonizzavano sotto il peso delle macerie di un mondo che non era più e che doveva essere il nostro “non ancora”. si esprimevano in delusione, in cinismo, in nostalgia.

ma individualismo e passività sono stati i veri effetti collaterali di un mondo diviso manicheisticamente in masse.

Quando il bisogno di umanità si risveglia non lo puoi fermare. non c’è da essere affamati solo con la pancia, ma anche nello spirito. la scarsezza di nutrimento su entrambi i piani diventa esplosiva.

tra le macerie di chi aveva perso, ci siamo ritrovati tra le macerie di chi aveva vinto: tutto era “già”, “non più”, “mai più”. il desiderio e il bisogno di un cambiamento, di una rivoluzione, di una prospettiva hanno rischiato di rimanere strozzate nella mancanza di possibilità di un riconoscimento in qualcuno o qualcosa che li rappresentasse.

il 15 ottobre le persone sono scese in piazza per rappresentare se stesse. cercando negli occhi degli altri qualcosa per riconoscersi e dire finalmente noi.

la coscienza non può essere organizzata in uno schema che scavalchi le condizioni storiche e la storia non si può prevedere, né analizzare nel presente in cui succede. Minerva aspetta sempre il tramonto per mandare la sua civetta a vedere come stanno le cose. e c’è sempre da stare attenti, ché non è che così è facile! è forse più facile saperle prima le cose, invece che dopo.

la manifestazione esprimeva un disagio, un dissenso, una stanchezza, condivise non per ragioni ideali o culturali. chi ha partecipato era arrabbiato. ma non disperato. chi ha partecipato ama la vita, vuole avere uno spazio con aria migliore per poter sperare. un’aria migliore per poter risperare.

la manifestazione non è fallita. eravamo tanti. tantissimi. ma eravamo troppi. e non eravamo ancora tutti. non eravamo ancora tutto.

la guerriglia urbana, la violenza, la rabbia espressa da un gruppo di persone, inferiori numericamente sembra aver vinto perché era organizzata, perché ogni forma di violenza espressa in distruzione è un ammonimento, un divieto, un terrore, una forma di potere.

una minoranza ha espresso il suo potere.

questo è lo scandalo.

l’ennesima riproposizione di quello che che non vogliamo più. di schemi, azioni, modalità che non ci riguardano più.

eppure sembrano aver vinto.

facevano paura perché erano organizzati, perché non proponevano una differenza ma un’identità. perché nel loro nascondersi si rendevano riconoscibili. avevano un’identità. forte e compatta.

frutti o vittime del sistema che tutto il resto della popolazione vuole ribaltare, comunque ne fanno ancora parte.

qualsiasi forma di rabbia o repressione nei loro confronti che in questi giorni viene suscitata fa crollare chiunque la provi di nuovo in quello stesso sistema.

delazione, carceri, una giustizia giustiziera, che agisce sempre solo sul sintomo perché le cause le fanno comodo per autoalimentare il potere che l’ha generata.

torna il manicheismo, la passività della scelta del bene e del male.

la confusione tra anarchia, potere, violenza, libertà, criminalità, pacifismo.

quello che è in ballo in questi giorni è l’identità. generata dalla voglia di dire io per poter dire noi. che non è quella che nega l’altro. per poter dire io, bisogna saper dare del tu. in questi giorni quello che è in ballo è un desiderio di umanità.

la polizia, frutto o vittma del sistema che tutto il resto della popolazione vuole ribaltare, comunque ne fa ancora parte.

qualsiasi forma di consenso o approvazione nei suoi confronti che viene suscitata in questi giorni fa crollare chiunque la provi di nuovo in quello stesso sistema.

c’è da riconoscersi fuori dai ruoli, all’interno delle differenze. c’è da rendere identità una differenza. che è il gesto più naturale che l’uomo fa da quando è comparso sulla terra, più naturale e più umano: generare un altro uomo. con amore.

siamo arrabbiati, preoccupati, impauriti, sdegnati, indignati, schifati, stanchi, esacerbati. Siamo in grado di compiere veri e propri atti di una violenza inaudita. E proprio perché vogliamo distruggere senza ammazzare e costruire senza imporre.

tutto questo è di una violenza incredibile. è irreversibile. non è una guerriglia. ma una vera e propria rivoluzione.

è la differenza che ora esiste.

è con la differenza che ora bisogna fare i conti.

è la differenza che ora è da fare.

è nella differenza che c’è da riconoscerci.

è la differenza che è un’identità.

29 Gennaio 2013
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