Il confilitto dei riconoscimenti. Berlino, Cafè La Comune, passwort: cc1871paris.

interpretare filosoficamente

Dichiarare quello che fai, gli ideali che lo sostengono, sempre e comunque, che invadono ogni singolo gesto quotidiano, vivendo la propria vita come un’opera d’arte politica, né estetizzando né politicizzando. E’ tutt’uno, è una contraddizione logica: la vita stessa è un’opera d’arte politica. Anche quando facciamo i paragoni naturalistici con gli ecosistemi vegetali o animali. E’ una produzione intellettuale umana. E senza di questa non esisterebbe forse nessun ecosistema. Almeno non uno che sia comprensibile.

Le sovrastrutture sì… per quelle andrebbe almeno letto l’autore che ne ha parlato, altrimenti si finisce per chiacchierare senza cognizione di facili riduzioni manualistiche.

C’è un gran parlare di decrescita tra i novelli avanguardisti progressisti. Ma il ricambio organico con la natura è un concetto espresso in tempi non sospetti, quando non si discuteva della esauribilità delle risorse naturali ed energetiche, che ha una profondità tutta da scorprire. Almeno per non curare i sintomi, ma per andare dritti alle cause.

Ecco, dichiarare, sempre come un manifesto politico. Esporre saggiamente la sobrietà coerente con cui si domina se stessi verso un obiettivo, che magari è pure entusiasmante per sé e per altri e d’altro canto poi fare le cose lasciando che parlino da sé.

Se l’obietivo è la riconoscibilità, c’è da chiedersi quale riconoscibilità si cerca. Se è un bisogno o una voglia. Quanto ha a che fare col conflitto delle interpretzioni come qualcuno male intendendo la dialettica hegeliana ha saputo pur sempre sintetizzare in un buon titolo per un meno buono saggio.

Dichiarare e fare. Fare senza dichiarare.

In gioco c’è sempre la possibilità o probabilità di non essere riconosciuti.

29 Gennaio 2013
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