La rivoluzione non è un pranzo di gala

interpretare politicamente

Nella logica del conflitto e della competizione, ormai la società del consumo sta mostrando la sua veste migliore, attraverso i social network. Quelle che un barbuto di Treviri, una volta, chiamò “Robinsonate” attraversano ogni classe e ogni gruppo sociale, fino a trasformarsi in vere e proprie ripicche tra poveri.

Da Andy Wharol, che provocatoriamente attraverso la sua arte, mostrava come ognuno avrebbe potuto avere i suoi cinque minuti di celebrità, ne abbiamo fatta di strada. La teconologia, sempre migliore e sempre più alla portata di tutti, i mezzi di comunicazione e di diffusione, sempre più alla portata di tutti, e la logica cameratista del tifoso, non ci permettono più di uscire fuori da noi stessi, o dalla nostra parrochietta, e mettere in comune i saperi e i saper-fare per produrre un oggetto collettivo, pieno di contenuto. E’ facile pensare che ci sia una certa ragionevolezza in questo: viviamo in una società spietata, dove se non brilli per genio e originalità sei una “x nel ciclo dell’azoto”, e nessuno dei rampolli, figli orfani della caduta del muro, desidera questo per sé.

La divisione del lavoro è divenuta, infine, individualismo e, in ultima analisi, vero e proprio solipsismo, cosicché l’origine di tale divisione, quella tra testa e mano, ovvero tra pensiero e azione, si è trasformata in un vulnus pressoché insanabile.

Così ci ritroviamo con tanta estetica, senza saper fare politica, con tanta moda senza capacità critica, con tanta esuberanza del fare e dell’agire, in un romantico slancio istintivo, senza saper leggere un periodo che vada oltre le due proposizioni. Però siamo tutti laureati.

Come in ogni epoca di crisi che si rispetti, ci ritroviamo ripiegati sulle nostre stesse coscienze, privi di un centro e di un punto di riferimento, ci aggrappiamo alle estetiche del tempo libero – unico luogo in cui pensiamo di poterci riconoscere – mentre ciò che davvero ci identifica è la professione che svolgiamo. (La domanda “Tu che fai?” ha del tutto sostituito quella che chiede “Come stai?”). E mentre speriamo in un bel pranzo di gala, sospiriamo una rivoluzione.

1 Febbraio 2013
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