L’italiano non è l’italiano. E’ ragionare

interpretare filosoficamente

Il ruolo dell’istruzione è stato sempre più smantellato insieme a quello della pedagogia. Non solo nessuno vuole più imparare, ma nessuno vuole più nemmeno insegnare. A parte qualche anziano maestro di vita che crede di aver capito tutto e quindi col suo occhio saggio riduce le esperienze universali di ogni singolo alle proprie.

Il problema è che per avere un ruolo davvero pedagogico, bisognerebbe avere prima di tutto un atteggiamento di apertura in grado di apprendere prima che di insegnare. Altrimenti si cade nel circolo vizioso dell’insegnamento emotivo monodirezionale che punta solo ad oggettivare le proprie esperienze sul proprio alunno, senza far crescere in quest’ultimo i suoi carismi, le sue capacità, le sue tensioni.

Il ruolo pedagocio è strettamente legato al ruolo politico governativo. Esistono pagine gramsciane in cui un tale rapporto è egregiamente analizzato e dispiegato attraverso la storia dello sviluppo delle gesta e del pensiero umani, raccolte in una bella e ricca antologia a cura di Mario Alighiero Mancorda.

Il rapporto tra l’insegnante, il diregente e chi riceve degli insegnamenti non è mai monodirezionale, ma frutto di uno scambio profondo. E il fatto che il ruolo e la funzione di ogni parte di una relazione sia data dalla relazione stessa è un pensiero talmente rivoluzionario che, come si può, viene oscurato, censurato ed escluso dalle dinamiche argomentative di qualsiasi tipo.

Lo scambio intellettuale si basa principalmente sulla capacità di dare e di ricevere dei beni, chiamiamoli così, spirituali. Ovvero di un contenuto che diviene immediatamente forma e che è una forma che è anche un contenuto, perché costituisce l’atteggiamento critico e intellettuale con cui l’uomo realizza se stesso e il mondo in cui vive ed opera, insieme agli altri.

L’insegnamento e l’apprendimento non possono mai essere scissi e separati, ma richiedono una dialettica continua di scambio, perché chi insegna apprenderà sempre e chi apprende ha sempre qualcosa da insegnare.
Questo scambio avviene su più livelli: nella vita quotidiana, dalla famiglia alla società dei rapporti personali, fino alla società dei rapporti lavorativi e politici e istituzionali.
Un tale rapporto ha la funzione di tramandare non solo i contenuti, ma anche e soprattutto i nessi dello sviluppo della storia dell’umanità, sia quella del pensiero, sia quelle delle azioni. La capacità di raccogliere i nessi con uno sguardo in grado di coglierli nel suo sviluppo è proprio di un animo libero dai pregiudizi, dalla superficialià e dal pressapochismo.

E’ necessario, dunque, non eliminare l’educazione e derubricarla a un esercizio di potere volto all’omologazione e al pensiero unico. Anzi, la verità sta proprio nell’opposto: la mancanza di un giudizio consapevole, nel senso di capacità di giudizio e quindi di discernimento, è il principio e la base per lo sviluppo della libertà di tutti e di ciascuno.

E’ necessario ricostruire la pedagogia su nuove basi, arricchendola di contenuti profondi e razionali, senza che questo significhi eliminare l’emotività e l’interiorità, che anzi è giusto salvaguardare. E proprio per questo è giusto anche non lasciarle andare verso il vortice di autodistruzione che si avvita su se stesso, quando vengano abbandonante al proprio corso, senza il dominio della ragione, del metodo, dell’armonia. Del resto le migliori produzioni artistiche sono quelle costruite su rapporti e parametri che guidano i sentimenti.

La vera rivoluzione contro il pressapochismo e il pensiero unico è lo studio approfondito che sviluppi le capacità critiche e di realizzazione. Non basta prendere la società civile così com’è, renderla semplicemente onesta e arrabbiata, perché essa sviluppi la capacità di lavorare insieme e scambiarsi idee.

Volonté, offre una bella suggestione:
L’italiano non è l’italiano. E’ ragionare

 

23 Marzo 2013
Condividi su

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *