Violenze

interpretare politicamente

La degenerazione sociale ed emotiva della società è sempre più evidente e prepotente. Aggressività, violenza e atteggiamenti tutti volti ad incutere il terrore sono all’ordine del giorno da chi meno te lo aspetteresti e soprattutto da parte chi non ha alcun senso un simile comportamento. 
A parte l’inciviltà, il clientelismo, l’assenza di rispetto per gli spazi comuni e altre cose simili, oggi è sempre più dilagante una strana forma di bullismo tra adulti, si può forse chiamare.
L’apice di tutto questo l’ho vissuto in due occasioni in particolare. E molto diverse tra loro: un conducente di un’auto NCC e un tecnico della lavatrice.
Era bello quando potevo riflettere su concetti più universali, partendo dalle dinamiche di una vita fatta di amici sognatori almeno quanto me, in politica, nell’arte o anche all’università, o di libri, film, concerti. Era davvero una ficata.
Oggi faccio parte di una classe, purtroppo la peggiore, quella che riproduce il capitale e che non ha alcuno strumento per fare la rivoluzione. Ma non l’ho scelto io. Mi ci ha mandato Cultura “Lucifero” Dominante che quelli come me li getta tutti nello stesso limbo.
Comunque oggi mi relaziono con la vita del lavoro e con i lavoratori. Qui è tutto diverso. Qui sono tutti incattiviti. Magari fossero incazzati.
Un NCC una volta mi stava appiccicato al motorino. Io ho dovuto inchiodare perché l’auto davanti a me ha svoltato improvvisamente a destra. L’NCC ha inchiodato a sua volta e dopo che io gli ho fatto un gesto per indicare l’auto che aveva svoltato, lui ha pensato bene di rincorrermi con il suo macchinone, mettersi di traverso su una strada abbastanza stretta ma a due corsie e molto trafficata chiamandomi con tutte le sfumature semantiche legate alla prostituzione. Mi sono spaventata e ho accostato ad un incrocio dove passava molta gente e ho chiamato il mio compagno per avvertirlo e leggergli la targa dell’auto. L’NCC è sceso dalla sua auto e mi è venuto incontro avvicinandomi la sua mano al volto tanto da sfiorarlo quasi, col gesto di chi voleva darmi uno schiaffo e continuando ad inveire contro di me col peggior vituperio che una donna possa ricevere.
L’immagine di quella mano mi ha accompagnata per giorni e notti in cui non sono riuscita a dormire e lentamente si è fatta strada nel mio pensiero la paura. Paura che me lo ritrovassi sotto casa, a cui poteva risalire pagando 8 euro di lettura della mia targa al PRA. Paura che lo incontrassi un’altra volta su quella strada che percorro spesso. Paura di incontrarlo da sola, magari di notte.
Si tratta di un genere di paure che non ho mai avuto. Mai. E di cose che vengono definite “pericolose” ne ho fatte nella mia vita!
Eppure quello che ho provato e i discorsi dei miei amici si sono cancrenizzati in qualche parte del mio animo e ovviamente hanno avuto delle conseguenze.
Ho sentito discorsi del tipo “Non voglio sminuire quello che ti è successo, ma credimi che non è niente in confronto a quello che succede in giro, oggi.” o peggio “troppo ti è andata bene!” o anche esempi: “ah ma non sai cos’è successo a xxx? mentre andava in bici l’hanno buttata giù e l’hanno presa a cinghiate, così per divertirsi…”
Dopo questo episodio metabolizzato a suon di terrore di riprendere il motorino da sola (figuriamoci la bici!) e di rabbia accumulata giorno dopo giorno, a distanza di qualche mese ho incontrato il tecnico della lavatrice.
Un uomo piuttosto rude sia nell’aspetto che nei modi, ma soprattutto nello sguardo. Salito a casa senza nemmeno salutare o presentarsi mi ha aggredita perché vivo in un palazzo senza ascensore. Poi è andato alla macchina che avrebbe dovuto riparare, comprata tre mesi fa e ha riscontrato che il danno lo avrei provocato io: la molla che serra la guarnizione dell’oblò si era staccata perché io avrei tirato fuori i panni “troppo forte, facendo un malloppo”.
Mentre lo interrogavo come ciò fosse possibile, lui sbuffò e rivolgendosi a me con gli occhi sgranati mi ha urlato: “Senti, chiamami l’uomo!” io: “??” lui: “l’uomo! chiama l’uomo!” Riferendosi al mio compagno nell’altra stanza. Lui è andato e la bestia gli ha spiegato che la “sua donna” aveva rotto la macchina e che lui doveva aiutarlo a sganciare la molla. Senza spiegare niente e senza spiegare che il lavoro rientrava nella garanzia se n’è andato dicendo che mi avrebbero richiamata per sistemare il tutto. E’ tornato ma solo perché a chiamare sono stata io. Al centralino mi hanno confermato che il lavoro rientrava nella garanzia.
Lui è tornato, è salito, mi ha scansata e si è precipitato verso la macchina. Ha chiamato il mio compagno urlando “Vieni! Devi aiutarmi” Ha sistemato la faccenda rimontando un pezzo al contrario. Io sono stata chiamata solo per dettare la mia e-mail.
Ho chiesto se dovesse lasciarmi qualcosa e mi è stato risposto “ma che te devo lascia’?”.
ha riposto tutti i suoi attrezzi ed è andato via salutando il mio compagno con un sorriso, poi si è voltato verso di me e come un pessimo attore ha messo su una faccia dura, terrorizzante, con gli occhi sgranati e stringendomi la mano fino a farmi male con un gesto chiaramente eccessivo.
Ho avuto paura un’altra volta.
E sempre la stessa: quella di ritrovarmi il tipo da qualche parte, sapendo stavolta esattamente dove abito, da sola, se avessi fatto la minima rimostranza.
E ovviamente provare questo mi fa rabbia, perché sono certa del fatto che reagire a soprusi del genere sia la base per farli smettere. Davvero c’è chi reagisce a cose ben peggiori. Eppure per la seconda volta mi sono sentita impietrita, gelata, immobilizzata, incapace di reagire nel modo migliore.
Non mi era mai successo, non mi era mai successo nemmeno di pensare a certe conseguenze del mio reagire e ora invece mi rendo conto che certe conseguenze sono possibili e sono meno distanti di quanto potessi pensare qualche anno fa.
Da donna, da lavoratrice, mi rendo conto che la mia posizione può essere relegata al massimo a quella di madre o di santa, non certo di un essere umano che ha tutte le caratteristiche per capire, lavorare, produrre o interagire liberamente col mondo circostante.
La violenza sulle donne inizia ovunque non venga dato loro il rispetto che si merita un simile. Ovunque venga tolta loro la capacità anche solo emotiva di reagire, figuriamoci gli strumenti legali.
Bisogna combattere, sempre, svegliarsi la mattina col coltello in mezzo ai denti e affrontare continuamente la stessa battaglia che tu non ti sei scelta, come una leva obbligatoria in un periodo di guerra. Una guerra in cui non credi. Ed è frustrante, è ingiusto, è tremendamente energivoro.
Inizio ad essere stanca di essere come sono, con questo senso della giustizia, le mie battaglie per gli ideali, le mie pratiche virtuose, i miei sforzi per procurarmi e produrmi la mia formazione che poi non è spendibile per me da nessuna parte. Perché non c’ho il parente giusto, perché non mi sono scopata quello giusto, o perché quando me lo ha proposto gli ho detto di no.
Comincio davvero ad essere stanca.

8 Luglio 2014
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